Prosegue il nostro viaggio presso la Pro Patria Judo di Busto Arsizio, dove il Maestro Mauro Merlo ci illustra quest’oggi l’arte marziale giapponese dell’Aikido approfondendone il piano filosofico e spiegandone più in dettaglio le tecniche. Il 64enne bustocco, cintura bianca al quarto dan, rivive il primo contatto con l’Aikido, riflettendo su un possibile risvolto sportivo.

Come si avvicinò all’Aikido?
“Il mio approccio fu in gioventù. All’epoca c’era una palestra in cui si praticavano kendo, l’arte marziale giapponese con la spada, karate e danza: decisi di andare a provare con un amico, ma il proprietario ci disse che il kendo non si sarebbe più praticato al suo interno, e ci invitò a sperimentare l’Aikido, un’altra arte marziale nipponica in cui si indossa il gonnellone o akama. Io e gli altri aikidoka, durante lo svolgimento delle tecniche, ci chiedevamo spesso il senso di ciò che stavamo svolgendo: l’Aikido è molto complesso dal punto di vista mentale, e il mio desiderio era quello di approfondirne il significato. Nell’Aikido si lavora esclusivamente in coppia, a volte anche a tre o a quattro, e si prevede anche l’impiego di armi come spada, coltello e bastone”.

Perché non include le tecniche di calcio?
“L’Aikido è solo a scopo difensivo e le tecniche di calcio sono considerate come dei metodi d’attacco. La filosofia basilare dell’Aikido non è rivolta né al combattimento né alla difesa personale: lo scopo del lavoro in coppia o katà è quello di ammansire colui che intende effettuare l’attacco. Secondo il Sensei nippo-americano Yoshimitsu Yamada (originario di Tokyo, classificato ottavo dan nell’Aikikai e proveniente dalla scuola dell’Osensei o Sommo Maestro codificatore Morihei Ueshiba, ndr) l’Aikido è meditazione, una ricerca interiore di sé stessi, attraverso un percorso di arti marziali. L’Aikido si basa anche sulla forza del pensiero di colui che sta per subire l’attacco, che neutralizza la forza mentale opposta di colui che lo sta per eseguire. Non sono previsti dei katà da svolgere singolarmente, ma degli esercizi di introduzione alla pratica, come spostamenti, respirazione e concentrazione. Possiamo considerare l’ Aikido come un’arte marziale e non come uno sport da combattimento, perché non sono previste le gare. In merito ai livelli di apprendimento non vi sono le diverse cinture colorate, ma gli aikidoka, dal momento in cui conseguono il primo dan, hanno la possibilità di indossare l’akama, o gonnellone dei Samurai”.

Quali insegnamenti da parte dell’Osensei Ueshiba tramandate?
“L’Osensei o Sommo Maestro Ueshiba, codificatore dell’Aikido, ha reso la parte più bellica del Budo (via della guerra giapponese, ndr), più filosofica, mantenendone la marzialità. Tra i suoi principi tramandiamo la non belligeranza e anche il fatto di evitare i conflitti. L’Aikido non include il concetto di avversario. Secondo i Sensei giapponesi Nobuyoshi Tamura, originario di Osaka e morto in Francia, e Motokage Kavamukai, originario di Kobe, l’Aikido ha lo scopo di formare la mente e il corpo a reagire alle ipotetiche situazioni di stress, superandole mediante la quiete, la tranquillità e la riflessione, e scindendo anche dalla paura. Abbiamo solo la cintura bianca e la nera, che un’aikidoka può indossare, se vuole, a partire dal conseguimento del primo dan. Ritengo che i diversi livelli di apprendimento e di pratica dell’Aikido siano dei propri fattori culturali e che prescindano dal colore della cintura indossata”.

Qual è lo scopo delle armi?
“Usiamo le armi in legno come il boken (o spada giapponese), il tanto (o pugnale) e il jo (o bastone). Le armi erano usate dai Samurai nel Giappone Feudale; l’Osensei Ueshiba studiò anche le armi, e le inserì nell’Aikido come compendio. Mediante l’impiego delle armi si comprendono meglio le tecniche che si eseguono, e sono previste anche nel lavoro in coppia. Nel paese del Sol Levante, fino agli anni 50’, l’Aikido era riservato solo al ceto nobiliare e a quello militare; solo in seguito si è aperto a tutte le altre persone. Sono previste proiezioni, leve, cadute in avanti e all’indietro, ma non sono inclusi i salti a causa di quell’ideale, derivante dal Ju-Jitsu, che consiste nel mantenere i piedi saldi sul terreno”.

Qual è il suo giudizio in merito alle aikidoka?
“Le donne che praticano l’Aikido sono molto brave, e se la cavano bene anche nell’uso delle armi. Nel complesso noto che tendono ad applicare di più i valori morali dell’Aikido, piuttosto che a impiegare la forza fisica. In origine, le donne non potevano indossare l’akama perché era considerato l’abito ufficiale maschile dei Samurai, mentre in età moderna, nella quale sono state incluse anche nella pratica dell’Aikido, tutte hanno la possibilità di indossarlo a livello globale”.

Prevede per caso in futuro un risvolto sportivo?
“Personalmente no. L’Aikido non prevede nessun esercizio da svolgere singolarmente e non vi è neanche il concetto di combattimento. In Francia, nazione che lo introdusse già dagli anni 60’, tentarono di renderlo uno sport, ma notarono che non era fattibile e vi rinunciarono. Le tecniche dell’Aikido non rendono possibile un combattimento o confronto regolamentato al fine di guadagnare dei punti e di vincere delle gare”.

Nabil Morcos

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