Alla luce di una vicenda calcistica accaduta di recente su un campo di Seconda Categoria Girone X, che ha visto come protagonista principale il direttore di gara, ho pensato di stendere un breve nota su “Il referto arbitrale e la sua valenza nell’ordinamento sportivo”.

Prima mi presento. Sono il nonno di un ragazzo giovanissimo (anni 14) che milita in una squadra giovanile di una società di calcio della provincia di Varese (Giovanissimi Under15). Personalmente ho giocato a calcio a livello semi professionistico e dilettantistico (dal 1958 al 1976): per quattro anni (dal 1977 al 1981), ho allenato una squadra giovanile oratoriana (CDG – Casa della Gioventù – Valle Olona) che ha vinto nella stagione1980/81 il campionato Under21 della Lega Nazionale Dilettanti comitato di Milano (cfr. ”La grande storia del calcio lombardo F.I.G.C. – C.R.L. dal 1911 al 2023, pag. 361).

Frequentando il campo di gioco per assistere alle partite di mio nipote, sono entrato in contatto con l’ambiente della società, ho conosciuto i dirigenti, gli allenatori delle varie squadre e i giocatori. Conosco in particolare il giovane allenatore protagonista della vicenda che sto per raccontare e posso testimoniare trattarsi di una persona di grande correttezza e lealtà (con tratti di una certa timidezza) che mai sarebbe capace di urlare insulti nei confronti di una persona e, in particolare, per quanto qui interessa, di offendere un arbitro. Chiarisco subito che, pur avendo una precisa convinzione sulla presente vicenda, non intendo prendere posizione al riguardo anche perché il mio scopo è quello trattare del referto nell’ordinamento sportivo.

Vengo alla vicenda avvenuta in occasione della disputa di una gara della Prima Squadra alla quale questo giovane allenatore della Juniores Regionale ha presenziato in panchina, su richiesta del mister, in qualità di allenatore in seconda. A circa 10 minuti dal termine della gara, in un violento contrasto di gioco, veniva atterrato un giocatore della squadra di casa; costui, da terra, in reazione, tentava di colpire l’avversario. Il direttore di gara lo espelleva repentinamente e non assumeva alcun provvedimento nei confronti di colui che aveva commesso il fallo violento. A questo punto si scatenava un putiferio sia dalla tribuna sia dalla panchina della squadra di casa con epiteti rivolti al direttore di gara!

Il giovane allenatore di cui ho detto non partecipava alla reazione degli altri occupanti la panchina (giocatori di riserva e accompagnatori) e non pronunciava alcun insulto nei confronti del direttore di gara (come è emerso palesemente alla luce delle numerose testimonianze assunte), il quale, alla cieca (dalla posizione in cui si trovava non poteva essere in grado di individuare l’autore o gli autori delle offese), ritenendo erroneamente di avere individuato nel giovane allenatore in seconda l’autore degli insulti nei Suoi confronti, lo espelleva. L’allenatore, con grande autocontrollo (non dico che cosa avrei fatto io) disciplinatamente e senza proferire parola guadagnava gli spogliatoi.

Al termine della gara, insieme ad un dirigente della società, si recava nello spogliatoio del direttore di gara facendogli presente di non aver pronunciato nei suoi confronti alcuna frase ingiuriosa come avrebbero potuto testimoniare numerose persone presenti. Il direttore di gara rispondeva che in realtà non era stato in grado, data la presenza di più persone vicino alla panchina, di stabilire con certezza l’autore o gli autori delle offese e che, di conseguenza, avrebbe chiarito il tutto nel referto arbitrale. Con enorme sconforto di tutti, pochi giorni dopo la società riceveva la comunicazione della squalifica di due mesi del giovane allenatore (il che significava più di otto partite senza panchina). Veniva proposto dalla società reclamo avverso a tale provvedimento con la presentazione di diverse testimonianze scritte che descrivono con precisione lo svolgersi dei fatti. Si deduceva inoltre che il direttore di gara (giovanissimo) risultava avere militato come calciatore nella società colpita dal provvedimento ed era stato allievo dell’allenatore espulso e condannato. Ricordo a me stesso che, tra i tanti obblighi di un arbitro, vi è quello di segnalare immediatamente all’AIA l’esistenza di rapporti diretti o indiretti con le società calcistiche al fine di valutare tempestivamente ogni eventuale incompatibilità (art. 40, lettera g, del Regolamento Associazione Italiana Arbitri). La società reclamante chiedeva anche l’esibizione del referto arbitrale dal quale emergeva che il giovane allenatore, a dire dell’arbitro, avesse pronunciato più frasi ingiuriose nei confronti del direttore di gara.

La Corte territoriale di appello di Milano, con provvedimento in data 9 febbraio 2024, respingeva il reclamo di cui sopra con la seguente motivazione: “I fatti descritti nel referto di gara sebbene contestati nella ricostruzione operata dalla reclamante non possono essere smentiti dalle mere dichiarazioni di parte stante il valore di fonte di prova privilegiata che il codice di giustizia sportiva riconosce al rapporto arbitrale ai sensi dell’articolo 61 codice di giustizia sportiva. Nel caso in esame il direttore di gara ha riportato con estrema chiarezza nel referto gli epiteti a lui rivolti dal signor … Nel supplemento di rapporto l’arbitro ha confermato senza alcun tentennamento la circostanza. Tanto premesso questa corte sportiva di appello territoriale rigetta il reclamo della società e dispone l’addebito delle relative tasse“.

Parliamo ora del referto (o rapporto) arbitrale. Il rapporto di gara è l’atto ufficiale stilato da ogni arbitro, assistente o altro ufficiale di gara, al termine della competizione ed è dotato, come detto, di un particolare valore probatorio. Esso contiene una serie di elementi, quali, esemplificativamente, il giorno e il luogo della gara, il risultato, i tempi di intervallo, nonché la descrizione di tutti i provvedimenti adottati nel corso della partita e degli accadimenti in violazione delle regole del gioco prima, durante e dopo la competizione. Il referto arbitrale costituisce, dunque, una sintesi fondamentale della competizione e ciò anche in quanto è utilizzato dai giudici sportivi per valutare con immediatezza tutte le questioni connesse allo svolgimento della gara, tra le quali, in particolare, la verifica della regolarità della stessa, la omologazione del risultato, i comportamenti di atleti, tecnici o altri tesserati e ogni altro fatto rilevante per l’ordinamento sportivo avvenuto in occasione della gara. Nell’ambito dell’ordinamento calcistico, il valore probatorio del referto arbitrale è dettato dall’art. 61, comma 1 del CGS FIGC (prima, art. 35, comma 1.1 del CGS FIGC), in virtù del quale “I rapporti degli ufficiali di gara o del Commissario di campo e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa i fatti accaduti e il comportamento di tesserati in occasione dello svolgimento delle gare“.

A questo punto il lettore si chiederà: “Che fare?” Qualcuno potrebbe dire: non riconosciamo più al referto il valore probatorio che ha attualmente parificandolo ad una testimonianza. La proposta, anche se astrattamente ragionevole, provocherebbe l’implosione del sistema. La conseguenza sarebbe una quantità di ricorsi sostenuti dalle testimonianze più’ disparate. Quale allora il rimedio affinché il referto non venga utilizzato dalla classe arbitrale quale mezzo di potere e sostanzialmente di in giustizia? Personalmente intravedo una sola via: il potenziamento della della formazione integrale degli arbitri ad opera dei propri organismi direttivi.

Aggiungo la indispensabile opera di educazione (non ci solo la preparazione tecnica e fisica) dei giovani attraverso il lavoro degli allenatori che devono essere dei veri e propri educatori evitando le sceneggiate che dobbiamo purtroppo registrare. Le società hanno il compito di formare al meglio le persone cui affidare i giovani. Altro elemento spesso destabilizzante sono i genitori anche ai quali va indirizzata l’attività formativa delle società. Purtroppo settimanalmente sui campi delle giovanili assistiamo ad uno scenario a volte deprimente: arbitri che patiscono eccessivamente la tensione che è presente in campo e fuori, allenatori che urlano come ossessi per tutto l’incontro con offese rivolte agli arbitri, giocatori anche giovanissimi che si sentono autorizzati a contestare platealmente il direttore di gara, genitori che si improvvisano direttori tecnici, e che spesso si scontrano con quelli della squadra avversaria (non nemica). Non invento: assisto settimanalmente a queste sceneggiate.

È l’ora di mettersi tutti al lavoro ciascuno nel proprio ruolo: il calcio è un gioco troppo bello per essere rovinato in questo modo! Un’ultima sottolineatura: ricordiamo ai ragazzi che senza arbitri non potrebbero praticare il gioco più bello del mondo.

Carlo Zonda

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