Restando sempre all’interno del Mondo Gialloblù, incontriamo Alberto Bianchi, capo allenatore degli Under 14 che ha appena concluso una stagione ricca di emozioni, con un gruppo che, tra soddisfazioni e delusioni, ha dato e ricevuto tanto, crescendo partita dopo partita, sempre con un unico obiettivo: imparare, divertirsi e continuare a coltivare un sogno legato alla palla a spicchi. Il ruolo dell’allenatore in queste categorie è molto importante, e Alberto può confermarcelo.
Il basket è uno sport stupendo, ma molto complesso, quanta passione (e pazienza!) serve per aiutare i ragazzi ad entrare a far parte di questo mondo?
“Serve davvero tanta, tantissima pazienza: è un presupposto fondamentale in un settore giovanile; e se non hai la passione è difficile far appassionare, divertire e innamorare i ragazzi allo sport della pallacanestro”.
Dopo il minibasket, in cui dovrebbero imparare i primi fondamentali, oltre al concetto di “gruppo”, il lavoro di un allenatore del settore giovanile su cosa punta in particolare?
“Punta a trasmettere ai giocatori le conoscenze fondamentali del gioco del basket; favorire la creazione di gruppi omogenei, studiare esercizi di apprendimento specifici a sviluppare le abilità, ovvero aiutare i ragazzi a trovare tutta la gamma di soluzioni tecniche funzionali al gioco e non come esecuzione di un gesto fine  se stesso”.
A queste età, è giusto che tutti i ragazzi abbiano la possibilità di fare sport ed è altrettanto giusto che tutti possano mantenere vivo l’entusiasmo, sognando di emulare i propri idoli. Questo però poi complica il ruolo dell’allenatore che deve riportarli con i piedi per terra: come si gestiscono i ragazzi a quest’età? Meglio l’allenatore amico o quello severo?
“E’ giusto che l’entusiasmo rimanga alto e che i ragazzi giovani, per imitazione, tentino di emulare le gesta del proprio idolo; l’istruttore deve saper trovare il giusto equilibrio tra “amico” e “severo” ovvero mixare l’amicizia che può comunque nascere con i giovani e la severità nel pretendere la giusta esecuzione degli esercizi. Dobbiamo tener presente che ogni ragazzo ha un suo modo unico e personale di interpretare la realtà sulla base delle proprie emozioni”.
In una squadra giovanile ci sono ragazzi più talentuosi di altri, ma allo stesso tempo tutti hanno voglia di entrare in campo: quanto diventa difficile gestire le partite non potendo pensare solo alla “tattica per la vittoria”, ma dovendo comunque dare una possibilità a tutti?
“Diventa difficile nel momento in cui si imposta il lavoro solo nell’ottica “vittoria” per cui la conseguenza è che giocano solo i più forti e talentuosi. La gestione del gruppo non sarà difficile se l’obiettivo fondamentale non è quello di vincere bensì quello di formare giocatori”.
Il campionato è arrivato alla fine, e in questi mesi la crescita si è vista sia a livello personale che, soprattutto, come “gruppo”: possiamo ritenerci soddisfatti di questa stagione?
“Nel caso specifico dell’annata 2001, la crescita personale di ogni singolo ragazzo è stata il presupposto della “crescita” di questo gruppo affermatosi nel corso dell’anno come SQUADRA. Pienamente soddisfatto della stagione dove, nell’ottica di una programmazione, rispetto all’anno precedente la crescita del gruppo è stata esponenziale”.

Alessandra Conti