
Quella di domenica 11 maggio sul campo dell’Accademia Milano è stata una partita dalle emozioni fortissime in casa Varese. Non tanto per il risultato (anche se l’1-1 ha permesso alla squadra di centrare l’obiettivo stagionale dei 50 punti), quanto soprattutto per ciò che quel triplice fischio ha comportato per il mondo biancorosso: dopo quattro anni e 127 panchine si è chiusa l’avventura di Andrea Bottarelli alla guida del Varese Femminile.
Annuncio che era già di dominio pubblico fin dallo scorso dicembre, visto che il tecnico classe ’88 aveva già maturato la decisione ben prima di sapere come sarebbe finita la stagione. Per lui sembrerebbe esser già pronta una nuova avventura, di ritorno nel calcio maschile, ma prima di tutto è doveroso dare una degna chiusura ad un percorso importante che ha caratterizzato gli ultimi quattro anni della sua carriera sportiva e della sua vita.
“Siamo partiti quattro anni fa – ricorda Bottarelli – senza un campo, senza un portiere… praticamente senza nulla. Oggi lascio una squadra nella parte alta dell’Eccellenza, chiudendo un quadriennio intenso e importante: non abbiamo quasi mai fatto mercato, se non portando qui ragazze che stavano perdendo la voglia di giocare e che oggi hanno invece ritrovato la passione. Non posso che esser contento del mio percorso”.
Cos’ha significato per te il Varese?
“Varese per me è casa, è la squadra della mia città e, come ogni tifoso, vorrei il massimo per questi colori. Nel mio piccolo sono orgoglioso di poter dire di aver contribuito alla storia della società, dato che resterò il primo allenatore di sempre della femminile biancorossa. Sono arrivato in un momento di rinascita, ho visto sorgere il nuovo centro sportivo e, al netto dei tanti cambi tra Prima Squadra e Settore Giovanile, sono sempre rimasto al mio posto dando il 110%. Lascio una base solida e importante, ho dato davvero tutto… in quattro anni quasi 35mila ore della mia vita”.
Cosa ti ha dato, invece, il Varese?
“Come ho detto, sicuramente l’orgoglio di esser stato il primo allenatore di sempre della Femminile. Con questi colori ho avuto modo di giocare in stadi per tutta la Lombardia, cosa che da giocatore non avevo mai fatto, e l’opportunità di crescere davvero tanto confrontandomi con altre belle realtà. Il ricordo più bello? Il 3-1 a Lecco. Quando siamo partiti con questo progetto c’era un abisso di distanza da loro: le vedevo inarrivabili ma, in soli due anni, siamo riusciti a batterle. È stato un risultato davvero emozionante. Così com’è stata una bella soddisfazione contribuire alla crescita di una giocatrice del calibro di Cecilia Cavallin, che ha firmato quest’anno con la Juventus”.
Qual è il tuo commento sulla stagione appena conclusa?
“Non ho nulla da rimproverare alle ragazze perché non hanno mai toppato una partita. Ha funzionato tutto, in particolar modo a livello di gruppo: senza stimoli di classifica, visto che in Eccellenza non esistono i playoff, e allenandoci spesso in 7/8, con tutte le difficoltà del caso legate ad una rosa corta, posso solo ringraziare staff e squadra. Non avevo dubbi in tal senso: l’anno scorso ad un certo punto ho voluto dare la scossa presentando le dimissioni e la mossa ha funzionato perché dalla zona retrocessione abbiamo chiuso in settima posizione con 49 punti frutto di un girone di ritorno clamoroso. Partendo da lì, in un campionato molto più difficile, sapevo che avremmo fatto bene”.
Com’è stato l’addio con la squadra?
“Non è stato semplice a livello emotivo: tante hanno pianto, ma mi sono anche arrivati parecchi messaggi di stima e ringraziamento. Hanno voluto regalarmi una maglietta del Varese con tutte le loro firme, accompagnata da una bellissima lettera che mi ha fatto enorme piacere. Cosa vorrei dire al Varese? Di investire sempre di più per creare qualcosa di importante: il settore giovanile è sicuramente un valore aggiunto, ma servirebbe un ds che possa agevolare la gestione di Prima Squadra e vivaio. La collaborazione fra ogni settore della società è fondamentale e va aumentata”.
Più in generale cosa ti ha dato il calcio femminile?
“Ho scoperto un lato umano enorme rispetto al mondo maschile: è difficile spiegare le sensazioni nel vedere così tante persone legate da un’autentica passione, che dimostrano ogni giorno in tutto ciò che fanno, e che riescono comunque a farti sentire parte del gruppo. Vivere il calcio femminile mi ha sicuramente cambiato e fatto maturare a livello professionale”.
Che idea ti sei fatto sul livello del calcio femminile italiano?
“Sicuramente manca qualcosa. Per aumentare lo spettacolo credo che andrebbero riviste alcune regole, come banalmente le misure delle porte: non metterò mai in dubbio né l’impegno né le qualità, ma fisicamente parlando ci sono delle differenze evidenti tra uomo e donna, per cui il mondo del calcio dovrebbe aprirsi un po’ in tal senso. Vedere una Juventus che festeggia lo scudetto davanti a mille persone, pubblico che troviamo tranquillamente in alcune piazze di Eccellenza o addirittura Promozione, dovrebbe far riflettere. L’Italia, poi, è ancora più indietro, ma sono fiducioso che l’intero movimento potrà crescere”.
Cosa ci sarà nel tuo futuro?
“Ho ricevuto tante chiamate e mi spiace lasciare il calcio femminile, ma già a Varese ho fatto mille sacrifici, per cui per spostarmi avrei avuto bisogno di ben altre proposte. Sceglierò quindi una Prima Squadra maschile, un progetto stimolante da far crescere e che, un domani, lascerò in condizioni migliori di come sono arrivato”.
Come pensi sarà il tuo ritorno nel mondo calcistico maschile?
“In primis mi auguro positivo (ride, ndr). Mi approccerò nuovamente al maschile sicuramente da allenatore più formato e con più conoscenze: mi piacerebbe portare qualcosa di ciò che ho vissuto nel mondo femminile, perché credo che entrambe le parti potrebbero beneficiare di aspetti reciproci. È comunque da tanto che manco, per cui sarò io stesso curioso di scoprire come mi troverò”.
Matteo Carraro