La diffusione del Coronavirus sembra non aver risparmiato nessun angolo del globo. Seppur in misura minore rispetto all’Italia, anche la lontana Nuova Zelanda ha registrato casi positivi. A raccontarci la situazione di Auckland è Francesca Fossa, giovane ventiquattrenne di Cassano Magnago che è tornata proprio in questi giorni dal continente oceanico, costretta a cambiare i propri programmi a causa di questa emergenza sanitaria.

Da quanto tempo ti trovavi in Nuova Zelanda e cosa stavi facendo?
“Ero partita ai primi di febbraio con il visto Working Holiday. Dopo aver trascorso qualche giorno in una farm, avevo iniziato a lavorare come cameriera. Auckland è una delle città più grandi della Nuova Zelanda, ma in quel periodo la situazione era assolutamente normale e non si sentiva parlare del virus. Poi verso fine febbraio sono arrivate le prime notizie dall’Europa e il governo è riuscito a contenere il pericolo sin dall’inizio”.

Personalmente come hai risentito di questa emergenza?
“Con la chiusura di bar e ristoranti non ho più potuto lavorare. In realtà, però, già da metà marzo la clientela aveva iniziato a diminuire, quindi invece delle normali 40 ore settimanali, ancora prima del lockdown ero arrivata a farne solo 20. Capitavano giorni in cui andavo al lavoro e restavo solo per tre ore perché non c’era quasi nessuno. Il governo è intervenuto subito per aiutare economicamente la popolazione, e infatti già dalla seconda settimana in cui ero a casa ricevevo un sussidio che corrispondeva all’80% di quanto stabilito nel contratto. Il mio problema, però, era che questo supporto alle imprese è garantito solo nelle fasi iniziali dell’emergenza, quindi dopo due settimane sarei stata licenziata e non avrei più avuto entrate. Così ho deciso di rientrare in Italia sapendo che non potrò tornare in Nuova Zelanda non solo per via della chiusura dei confini ma anche per il fatto che il Working Holiday viene emesso solo una volta e da quel momento si ha diritto a restare nel Paese per un anno (con un’estensione di tre mesi se passati inizialmente a lavorare in una farm), dopodiché scade”.

Com’è stato il viaggio di ritorno?
“È stato un po’ complicato perché l’Italia non ha organizzato nessun volo di rimpatrio per i suoi cittadini bloccati in Nuova Zelanda o in Australia, quindi mi sono dovuta organizzare da sola sapendo che se avessi comprato un volo statale avrei corso il rischio che venisse cancellato il giorno prima. In quel caso non avrei ricevuto un rimborso ma un voucher da usare con la compagnia aerea entro un anno. Avevo comunque provato a chiamare l’ambasciata italiana in Nuova Zelanda ma non aveva saputo aiutarmi, quindi mi sono rivolta all’ambasciata olandese e con un volo umanitario sono arrivata ad Amsterdam dopo aver fatto scalo a Sydney e a Tokyo. Dall’Olanda non sono tornata direttamente in Italia perché non è uno dei Paesi in cui il nostro Stato recupera i propri espatriati. Quindi con un volo statale ho raggiunto Francoforte e da lì sono arrivata finalmente a Malpensa. In tutto ciò, sono stata in viaggio per due giorni. Tenendo conto del fuso orario italiano, sono partita la notte del 18 e ho messo piede in casa la sera del 20”.

Com’è la situazione in Nuova Zelanda?
“In generale il clima è molto tranquillo e non si percepisce la paura che invece c’è in Italia, anche perché la popolazione è circa un decimo di quella italiana in un territorio un poco più piccolo. I primi contagi da Coronavirus sono stati confermati nella seconda settimana di marzo, quando in tutta Auckland c’erano due o tre casi sparsi. Essendo una città con un milione e mezzo di abitanti, sono state adottate subito misure di contenimento per proteggere la popolazione. In generale, a livello nazionale, il governo ha risposto in modo tempestivo all’emergenza chiudendo immediatamente i confini, quindi turisti e possessori di Working Holiday non possono entrare in Nuova Zelanda e l’ingresso è consentito solo ai residenti che stanno tornando a casa. Al momento è tutto chiuso, eccetto supermercati e farmacie, ma si può uscire per fare passeggiate e attività fisica, anche con uno o due familiari o coinquilini, purché si resti in prossimità della propria abitazione e non ci si incontri con altre persone. I luoghi pubblici come i parchi sono accessibili a patto di mantenere la distanza di un metro e mezzo dagli altri. Le mascherine sono fortemente consigliate ma non obbligatorie, e infatti al supermercato incontravo persone che la usavano e altre senza. Nei negozi aperti può accedere solo una persona per nucleo familiare, mantenendosi a debita distanza dagli altri, e prima di entrare si fa la fila e viene distribuito del gel antibatterico. Devo dire che le varie restrizioni messe in atto hanno evitato che la situazione diventasse troppo grave. Al momento i casi confermati sono meno di 1500, tra cui 18 decessi. Però proprio nei giorni scorsi ho letto in un articolo che ci sono stati due casi positivi in una farm a due/tre ore da Auckland dove lavorano 250 persone. Spero che nessuno sia stato contagiato, altrimenti le statistiche potrebbero aumentare”.

Quali tempistiche sono state previste per l’emergenza?
“L’emergenza è stata categorizzata in quattro livelli. Il livello 4, che corrisponde al lockdown, è stato annunciato il 29 marzo e durerà fino al 28 aprile; poi subentrerà il livello 3, che è una specie di prolungamento del livello 4 con la differenza che saranno autorizzati i takeaway per permettere le ordinazioni da casa. Rispetto alle previsioni iniziali, il governo ha deciso di prolungare leggermente il livello 4 non perché ci sia stato un aumento dei casi ma proprio per dare tempo alle aziende di prepararsi alla fase successiva e capire come gestire il proprio personale. Il livello 3 durerà teoricamente fino al 12 maggio, poi in base alla situazione il governo valuterà se protrarlo o se passare al livello 2. I livello 2 e 1 saranno un graduale ritorno alla normalità. Nell’ambito della ristorazione, bar e ristoranti potranno riaprire ma dovranno adottare misure di sicurezza, come garantire la distanza tra i tavoli e isolare i nuclei familiari. I locali potranno essere operativi al 50%, quindi lavoreranno con uno staff ridotto. Importanti anche le misure di sostegno alla comunità: oltre al pagamento dei sussidi, il governo ha esteso di cinque mesi i visti in scadenza per permettere ai residenti temporanei di organizzarsi”.

 Silvia Alabardi