Non è certo un mistero che le ambizioni della Solbiatese vadano ben oltre la Promozione: la società nerazzurra ha tutte le carte in regola per ambire all’Eccellenza (o anche più in alto) e il campionato che il gruppo di mister Gennari sta conducendo lo dimostra.

Qualora ci fossero ancora dubbi sulla solidità del progetto avviato dalle parti di Solbiate Arno, basta guardare il mercato per togliersi le ultime perplessità. L’acquisto di Matteo Amelotti, infatti, certifica la volontà nerazzurra di arrivare presto in Eccellenza, ma soprattutto di arrivarci con un gruppo forte, ben rodato e consolidato, in grado di rubare la scena da protagonista anche in una categoria superiore.

Lo sa bene proprio Amelotti. Il centrocampista classe ’92 vanta un’invidiabile esperienza proprio in Eccellenza e si è messo a disposizione di Gennari per rimpolpare un centrocampo già stellare per la categoria. Esordio da sogno (gol al Cassano e mezz’oretta di livello contro l’Aurora) per la mezz’ala che ha riassaporato l’atmosfera del Chinetti dopo tanti anni. “Per me è un bell’effetto tornare dove sono cresciuto – spiega Amelotti – perché oltrepassare quel cancello e allenarmi su quei campi dove da piccola sognavo di diventare un calciatore è un’emozione unica”.

Come sei stato accolto? E com’è andato il tuo inserimento in gruppo?
“Conoscevo già la maggior parte dei miei attuali compagni per cui non potevo che essere accolto a braccia aperte da tutti. Non parliamo solo di ottimi calciatori, ma soprattutto di bravissimi ragazzi per cui il mio inserimento in gruppo è stato facile e automatico. Il mister? Non ho mai avuto la fortuna di potermi allenare ai suoi ordini perché l’avevo conosciuto solo da avversario. Devo dire che la prima impressione è stata quella di una persona davvero competente e ambiziosa che vuole far migliorare ogni calciatore a sua disposizione. Ed è proprio ciò che voglio io, per cui poter essere allenato da lui è uno stimolo a far sempre meglio”.

Per usare un eufemismo, il tuo battesimo in nerazzurro è andato discretamente bene. Dato che sei sempre stato abituato a giocare in Eccellenza, quali sono state le tue prime impressioni sul campionato di Promozione?
“Credo sia ancora presto per parlare perché ho giocato solo due partite. O meglio, due guerre. Inevitabilmente, ed è giusto che sia così, quando gli avversari incontrano la Solbiatese danno sempre quel qualcosa in più per non sfigurare e quindi ogni partita è davvero complicata. Dall’altra parte c’è però da dire che noi a livello di organico siamo davvero una gran bella squadra e chiunque entra in campo è votato al sacrificio per i compagni; così facendo superare gli ostacoli diventa più facile”.

Il tuo acquisto certifica il fatto che il progetto Solbiatese sia orientato al medio/lungo termine. Con una rosa del genere, la Solbiatese dove potrebbe arrivare in Eccellenza?
“Credo che questa squadra potrebbe fare un buonissimo campionato d’Eccellenza perché ha giocatori come Torraca, Pellini, Scapinello o Anzano, solo per citarne alcuni, che farebbero la differenza anche in quella categoria. Ed è per questo motivo che ho voluto sposare il progetto: ormai ho quasi trent’anni e ciò che volevo era trovare una squadra ambiziosa e sana, con tutti i mezzi per far bene, in cui trasferirmi in pianta stabile. La Solbiatese risponde a tutte queste esigenze, aspetto raro da trovare al giorno d’oggi”.

Cosa cambia tra Eccellenza e Promozione?
“Alla luce di quanto detto finora, per quel che riguarda la Solbiatese la differenza non esiste. Per le squadre che ho affrontato, invece, devo dire che c’è un divario soprattutto sul piano fisico e nel modo di approcciare la partita. Poi, comunque, anche in Promozione c’è tanta qualità e giocare in questa categoria è anche più difficile perché le squadre avversarie ti vengono a prendere più alte e non ti fanno respirare, esattamente come è successo a Cassano”.

Facendo un passo indietro, qual è il bilancio della prima parte di stagione che hai vissuto con il Pavia?
“Io sono sempre molto autocritico, ma credo che il bilancio sia positivo. Certo, non è finita nel migliore dei modi, ma è oggettivo che ci siano mancati solo i risultati: quando ti gira male non c’è niente da fare. Per il resto mi sono trovato davvero bene: Pavia è una piazza bellissima e pretenziosa che esige determinati risultati, e quando questi non arrivano è normale che si arrivi al cambiamento. Perché l’avevo scelta? Al di là della distanza geografica, un aspetto relativo dato che il viaggio si divideva con altri compagni, essendo stato a Legnano so cosa vuol dire avere una città che spinge la sua squadra. L’energia di quelle piazze ti dà una carica in più e ti ripaga i 45’ di strada per andare e tornare ogni volta”.

Facendo invece due passi indietro, hai dei rimpianti per non aver conquistato la Serie D con la Varesina?
“Direi proprio di sì. L’obiettivo era quello e con un campionato normale l’avremmo potuto raggiungere. Purtroppo bisogna guardare la realtà e il campionato vissuto non è stato una competizione normale perché abbiamo giocato dieci finali: aver perso l’ultima e non esser andati a giocare lo scontro diretto con la Brianza Olginatese mi ha pesato parecchio. Ci abbiamo provato, questo è l’importante, e possiamo rimproverarci davvero poco: la dirigenza era comunque soddisfatta perché su quindici partite in tutto l’anno ne abbiamo perse solo due e abbiamo dato tutto ciò che avevamo. Il rammarico c’è, ma bisogna saper guardare avanti”.

Guardiamo avanti allora e  torniamo alla Solbiatese. Con il campionato ipotecato, quali possono essere gli stimoli da qui alla fine della stagione?
“Migliorarsi costantemente a livello individuale e collettivo. Tornando a mister Gennari, fin dai primi giorni ha subito inquadrato i miei punti deboli e mi ha messo al lavoro: abbiamo davanti a noi un percorso di quattro mesi per arrivare pronti al prossimo campionato. Obiettivi personali? Sinceramente non me ne sono posti. Fare gol e assist è sempre bello, ma quello che voglio è migliorarmi di partita in partita”.

Mi pare di capire che col mister ci sia un bel rapporto: dove ti vede meglio a livello tattico?
“Io nasco come terzino, ma ho lasciato ben presto quel ruolo per avvicinarmi sempre di più alla porta. Negli ultimi anni sono però arretrato e il mister mi ha chiesto di dare il mio contributo da mezz’ala: è n ruolo completo, che mi piace e mi stimola molto perché mi dà l’opportunità di attaccare, ma che richiede anche un’attenta fase di copertura. È un ruolo equilibrato che mi metterà alla prova costantemente. Rigori e punizioni? Neanche mi avvicino (ride, ndr)! Se vedessi come si allenano i vari Pellini, Scapinello, Torraca e Anzano non ti verrebbe nemmeno voglia di provarci: quello che bisogna fare la domenica è passargli il pallone e andarli poi ad abbracciare”.

Per concludere, dove può arrivare la Solbiatese?
“La dirigenza ha fatto i suoi calcoli, e li ha fatti bene: per conseguire certi obiettivi ci vuole tempo e non ha senso affrettare i ritmi. La solidità societaria è impressionante, così come l’organizzazione: tutti, dal presidente al magazziniere, hanno tanta voglia di fare e la loro umiltà è disarmante. Con premesse del genere non si può che arrivare in alto”.

Matteo Carraro

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