Oggi è il giorno di Pasqua che, oltre ad essere importante a livello religioso, è un giorno che da ormai ben 42 anni segna indelebilmente il mondo della pallacanestro a Varese. Un giorno nel quale si sarebbe dovuta svolgere la finale del torneo probabilmente più rappresentativo d’Italia a livello cestistico giovanile, il Trofeo Città di Varese Memorial E. Garbosi.

Un torneo nato nel 1980 sotto l’egida di Paolo Vittori, membro dell’Italia Basket Hall Of Fame dal 2006, grandissimo campione in campo a Varese con la maglia Ignis e con quella della Nazionale, ma soprattutto enorme personaggio fuori dal campo, che ebbe l’idea di istituire questo torneo in memoria di Enrico Garbosi, scomparso prematuramente il 6 gennaio 1973 dopo aver legato la sua vita come allenatore indelebilmente a Varese nel triennio post bellico 1947-1950 e poi per 6 anni consecutivi tra il 1956 e il 1962.
Il torneo ha sempre unito ragazzi da tutta Italia e da molte parti di Europa e ha sempre abbattuto qualsiasi muro di divisione ed ostacolo sotto l’amore per la pallacanestro. Negli anni Vittori l’ha trasformato da un semplice torneo provinciale, format che mantenne nei primi tre anni di vita fino al 1983 quando divenne extra regionale, con la prima squadra ospitata che fu la Gorizia della sua infanzia da parte della Robur Et Fides, a quella che è stata una storia fantastica fatta di scambi culturali, sportivi ma soprattutto di legami affettivi che va avanti da ormai più di quarant’anni.

Ripercorrere le tappe del Garbosi in questi anni è come vivere la storia della Pallacanestro Italiana che, per una settimana, quella Santa appunto, si riunisce nella provincia varesina e dà vita alla più bella festa di basket mai portata avanti e tramandata nel tempo. Significa ritrovarsi a condividere in grande felicità, momenti unici con personaggi storici del basket varesino ed italiano, come Charlie Recalcati, Ossola, Vittori, Crugnola, Galleani, Isaac e la mamma del torneo, la signora Miriam Garbosi. Significa poter ripercorrere le orme di grandi del nostro basket che hanno saggiato questo torneo e cercare di emularne le gesta, come Danilo Gallinari, Marco Belinelli o Andrea Meneghin.

Ma più di tutto significa ritrovare quell’amore per questo sport che riunisce migliaia di ragazzi e famiglie nel concetto che è alla base di questo torneo, ossia non la vittoria, ma bensì i ragazzi e la loro opportunità di crescita come giocatori e come persone, pensiero che potrebbe sembrare ossimorico ma che in realtà è la forma mentis della manifestazione.

Purtroppo da due anni a questa parte il covid-19 ha bloccato questa festa del basket, lasciando un buco enorme nei ragazzi e nelle loro famiglie che non possono vivere un’esperienza unica, nelle società, che perdono una forma di condivisione e di crescita, ma soprattutto in chi, come gli organizzatori, ci spendeva anima e corpo arrivando sfinito al termine del torno, ma con un grande sorriso e pieno di gioia per aver regalato questa esperienza a tanti ragazzi.
Tra questi organizzatori, i NOI DEL GARBOSI, non può che rientrare Gianni Chiapparo grazie al quale, in questi giorni di preparazione all’articolo, mi è sembrato di rivivere quelle emozioni che solo il Garbosi sa regalare. Gianni racconta il suo viaggio nel mondo Garbosi e il dolore per non poter riempire il palazzetto di Masnago per questa Pasqua che, una volta ancora, sembra sempre così vuota.

Come sta vivendo questa ennesima settimana santa senza Garbosi?
“Stranamente. Perché non mi rendo conto, se non guardando le date, le foto, che in questi momenti sarei stato travolto dalle cose da fare a livello organizzativo e di gestione. “Noi del Garbosi” siamo pochi anche se abbiamo gente che ci aiuta durante il torneo, ma prima siamo due o tre. Arrivavi già stanco in tutta la preparazione al torneo, tra sistemazione, organizzazione, chi ospitava, chi meno, e con un occhio in più per le squadre che venivano dall’estero. Nel mio caso specifico organizzando il Convegno del torneo con cadenza biennale, con relatori esterni, le presentazioni, i tornei Rizzi e Barillà, che si svolgevano in contemporanea, avevo le giornate piene. Adesso sono vuoto”.

La prospettiva per tornare a vedere in campo il torneo qual è?
“La prospettiva ad oggi non c’è. Non ne abbiamo ancora parlato. Se si potessero fare dei tornei a settembre o prima della scuola, qualcosa in edizione ridotta ci piacerebbe farlo. Prima della scuola ovviamente sarebbe bello per poter invitare le squadre da fuori, se invece dovessimo andare verso fine settembre o i primi di ottobre, magari organizzare qualcosa a livello interregionale, Lombardia, Piemonte, Canton Ticino, facendo tutto in un tre giorni.  Tutto dipenderà dall’evolversi della situazione sanitaria. Io poi, che sono nello zoccolo duro del minibasket, vedo quanti tornei e quante esperienze si stanno perdendo sia i ragazzi sia le famiglie e questo fa doppiamente male”.

Facendo un piccolo revival delle sue esperienze al Garbosi, ci racconta come fu la prima partecipazione e quella che più le è rimasta nel cuore?
“Trovare un’edizione in particolare alla quale legarmi è difficile perché le ho fatte tutte, però sicuramente la prima vinta da allenatore, nel 1984 con la Robur, con la finale al palazzetto, rimane indelebile. Un’altra edizione che mi è rimasta nel cuore è quella vinta da Fabrizio Garbosi con noi dietro la panchina in finale suoi primi tifosi ed incitarlo. Vederlo trionfare nel torneo in memoria di suo papà fu speciale. Poi da organizzatore tutte ti rimangono impresse per il tanto lavoro che c’è dietro e per gli sforzi che si fanno, con il solo fine di regalare quelle emozioni che solo questo torneo sa dare e che mancano molto”.

Alessandro Burin
(foto edizione 2019)

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