Il mondo del calcio ricorderà a lungo l’anno che sta per concludersi. Tra stadi vuoti e campionati sospesi o annullati, la pandemia da Covid ha generato un 2020 avaro di partite, soprattutto all’interno dei movimenti giovanili e dilettantistici. Chi ha saputo trarre vantaggio da questa complicata situazione è stata la categoria arbitrale che ha sfruttato il lungo periodo di stop per continuare a lavorare e formare nuove leve. 
“Non ci siamo mai fermati, attenendoci sempre alle norme di sicurezza e adattandoci alle piattaforme di live streaming. Così facendo, siamo riusciti a operare con più attenzione e a organizzare un nuovo corso”. A spiegarlo è Roberto Arcari FarinettiPresidente della Sezione AIA di Varese, che ha espresso interessanti riflessioni anche in merito alla carenza di arbitri e alla possibilità che essi possano parlare con la stampa nel post partita: “Pochi direttori di gara e tanti match, questa è la realtà dei fatti. Ci sono ragazzi che dirigono più gare nello stesso weekend. Sono favorevole al dialogo con i giornalisti, a patto che sia costruttivo”.

Il Covid ha bloccato moltissimi tornei e di conseguenza tanti arbitri sono rimasti fermi. Come avete gestito la situazione? 
“Come tutti, anche noi abbiamo subito lo scossone iniziale. Ci siamo dovuti fermare lo scorso febbraio, senza sapere quali sarebbero stati gli sviluppi. In quelle settimane di turbinio, abbiamo intensificato le riunioni con i presidenti federali e sezionali per capire come gestire una situazione così delicata. Quando la FIGC ha sancito la chiusura dei campionati dilettantistici e giovanili, abbiamo cercato di riorganizzarci. Ai ragazzi abbiamo fornito dei programmi di allenamento in solitaria per mantenere la forma fisica e abbiamo spostato gli incontri formativi sulle piattaforme online. Fortunatamente, siamo riusciti a completare un corso arbitri con 13 partecipanti subito prima che scoppiasse la pandemia. Il secondo, invece, è già iniziato e presenta 10 nuovi iscritti. Visto il particolare momento che stiamo vivendo, non abbiamo fretta di concludere: questo corso, infatti, lo abbiamo spalmato su tre mesi invece che due, così da essere pronti per la ripresa dei giochi”.

È stato complicato fare lezione sul web?
“Sembrerà paradossale, ma abbiamo riscontrato alcuni benefici dagli incontri online. Certo, dal punto di vista umano è sempre meglio ritrovarsi di persona, ma per quanto concerne l’aspetto lavorativo, devo dire che è andata molto meglio del previsto. Attraverso piattaforme come Zoom, abbiamo potuto visionare e analizzare particolari situazioni di gioco, discutendone in relazione al regolamento. Inoltre, le videocall hanno permesso ai ragazzi di essere più presenti, evitando loro gli spostamenti per raggiungerci. Alcuni arrivano da Luino ad esempio, perciò percorrono un discreto numero di chilometri per partecipare alle riunioni. Rispetto alle società sportive, siamo riusciti a sfruttare meglio questa possibilità perché non abbiamo dovuto occuparci della parte fisica, ma solo di quella tecnica”.

Passiamo a una nota dolente, ovvero la carenza di arbitri nel nord Italia. Secondo lei a cosa è dovuta questa disparità rispetto al meridione?
“Il numero di arbitri presenti al nord è sicuramente basso, ma è necessario considerare la grande quantità di partite giocate ogni anno. In settentrione si possono contare circa 34.000 match disputati a stagione, di cui 2.000 solo a Varese. Questa è la principale differenza che si può riscontrare con il sud, in cui ne vengono giocati molti meno e di conseguenza il numero dei direttori di gara può sembrare più alto. All’interno della nostra sezione ci sono ragazzi che sistematicamente fanno la doppietta, arbitrando sia al sabato che alla domenica e rischiando di incappare in qualche infortunio. L’obiettivo comune è quello di coprire tutte le gare in programma, pertanto c’è grande collaborazione con le sezioni AIA a noi vicine”. 

Quale può essere una soluzione per ovviare a questo problema? A Saronno, ad esempio, propongono dei tirocini all’interno delle società per fare esperienza.
“Questa è un’idea che da qualche tempo sta circolando nell’ambiente e io, personalmente, la appoggio. Se si potesse avere la possibilità di collaborare a stretto giro con le società, noi saremmo più che contenti. Sarebbe bello poter fare dei corsi all’interno delle squadre, affinché un giovane calciatore possa poi decidere di arbitrare. Se questa idea venisse approvata e regolamentata, sarei il primo a esserne favorevole”.

Negli ultimi anni la sezione di Varese ha potuto annoverare qualche nome nei campionati professionistici, come ad esempio Daniele Minelli, giunto fino alla Serie A, e Andrea Calzavara, che ha recentemente debuttato in Serie C. Attualmente chi sono i ragazzi più promettenti? Vedremo qualche nuova leva tra i professionisti entro breve tempo?
“Giustamente cita Andrea Calzavara, ma non c’è solo lui. A livello nazionale possiamo contare anche su due assistenti in Serie D e due osservatori tra C e D. Inoltre, abbiamo un discreto numero di direttori di gara in Eccellenza. Per quanto riguarda i prospetti futuri non voglio fare nomi, ma sicuramente abbiamo ragazzi che possono ambire ad arrivare in alto e mi auguro che possa succedere. È chiaro però che non si diventa arbitri di livello nazionale nel giro di pochi anni, poiché si tratta di un impegno prolungato nel tempo. Se un ragazzo inizia ad arbitrare nella categoria Juniores, deve mettere in conto almeno 15 anni di esperienza per arrivare stabilmente in Serie C. Non so chi altro nel mondo dello sport sarebbe disposto a prendersi tutto questo tempo per raggiungere i professionisti. Per noi è diverso, perché si tratta di un percorso di crescita personale”.

Vorrei capire meglio quest’ultimo punto.
“Fare l’arbitro aiuta anche nella vita. Come deve essere bravo a prendere decisioni sul campo, un direttore di gara deve esserlo altrettanto sul posto di lavoro, in famiglia, nei rapporti interpersonali, in tutto. Quando una persona decide di intraprendere questa strada, accumula una certa consapevolezza di sé, imparando a vedere le cose con occhi diversi. Si acquisisce molta obiettività, necessaria per comprendere quali provvedimenti prendere e quali possono essere le dirette conseguenze. Consiglio a tutti un’esperienza come questa, perché aiuta ad affrontare di petto situazioni difficili e a superarle. Io, ad esempio, sono una persona dall’indole timida e introversa. Normalmente avrei disagio a parlare di fronte ad un pubblico. L’attività come arbitro mi ha aiutato molto sotto questo aspetto: stare davanti a centinaia di persone ora non mi crea alcun problema”. 

In virtù di ciò che mi ha appena detto, le chiedo questo: ritiene plausibile che gli arbitri possano, in futuro, parlare con la stampa nel post partita? Sarebbe favorevole a questa apertura?
“Bella domanda (ride, ndr). Penso che sarei d’accordo, ma mi frenerebbe la metodologia d’approccio. Non è mai bello quando una decisione dell’arbitro viene interpretata automaticamente come negativa. È chiaro che possa esserci una valutazione errata, può capitare a chiunque e per questo è importante cercare di sbagliare il meno possibile. Posso garantire che un arbitro quando commette un errore in una precisa circostanza non ci ricasca una seconda volta. Ci si sente molto abbattuti quando una situazione viene mal interpretata, nonostante questa possa sembrare inizialmente corretta. Sarebbe bello avere un dialogo costruttivo per discutere serenamente delle decisioni prese, senza che le stesse possano essere etichettate come «sbagliate» prima ancora di parlarne”.

Dario Primerano

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