Era stato chiamato per portare Busto in Serie B e così è stato. Alberto Mazzetti è riuscito nell’impresa di guidare i rossoblu in quello che era solo un sogno ad inizio stagione, per cui la società aveva costruito una squadra davvero molto competitiva, partendo proprio dalla panchina con la scelta di Mazzetti.

Una promozione, quella di Busto, conquistata all’ultimo respiro in una serie finale contro Pizzighettone che ha regalato grandissimo spettacolo tra due squadre fortissime e che ora apre gli scenari sul futuro, per una Serie B da affrontare con il giusto approccio e determinazione da parte della AB, come lo stesso coach ci racconta.

Coach, parto dal -17 del quarto quarto di Gara 2 a Pizzighettone. Cos’ha pensato in quel momento?
“Il pensiero forte in quel momento è stato quello di non farcela. Quando perdi Gara 1 in casa psicologicamente è già una mazzata, in più trovarsi in quella situazione a pochi minuti dalla fine mi ha portato a credere che davvero non saremmo riusciti a ribaltarla ed avremmo perso contro una squadra che si sarebbe dimostrata più forte di noi, meritando la promozione. Non mi vergogno a dire questo e lo faccio con grandissima onestà intellettuale”.

Lì lei chiama un timeout e cambia tutto. Cos’è scattato in quel momento?
“E’ uscito il nostro istinto e il non voler accettare la sconfitta. Noi già in stagione, seppur senza la pressione ed il peso di una finale, ci eravamo trovati in situazioni davvero delicate: penso al -15 di metà partita in Gara 2 di semifinali a Saronno, o a quando abbiamo rimontato 19 punti a Cernusco ed altre situazioni di svantaggio in cui, anche se alla fine magari non abbiamo vinto, abbiamo dimostrato tutto il nostro rifiuto a perdere. Anche con Pizzighettone è uscita questa qualità della squadra, espressa ai massimi livelli, ed è stato ciò che ci ha permesso di svoltare; un carattere unico dei miei ragazzi che hanno saputo gestire al meglio il momento”.

Cosa le lascia questa promozione in Serie B?
“Mi lascia qualcosa di indescrivibile. Non saprei bene che aggettivo o nome dargli. Siamo partiti di rincorsa, io ho accettato questo incarico con un entusiasmo immenso e con la volontà di sentirmi importante non solo come allenatore ma come uomo. Devo dire che Busto, sia dal punto di vista lavorativo che soprattutto umano mi ha fatto sentire Alberto, così come sono, importante e valorizzato al massimo in ogni momento e questo è stato qualcosa di impagabile davvero. Come allenatore poi non posso che essere assolutamente contento nel vedere la squadra che ha fatto prorpia un’identità che mi apparteine, quella di saper gestire con grande serenità anche i momenti di maggior sconforto e difficoltà e come dicevamo sopra, questo penso sia stato quel quid in più che ci ha permesso di vincere”.

Ora con la Serie B il livello si alza e non poco. Intanto, lei ci sarà il prossimo anno?
“Io ho un altro anno di contratto ancora con Busto e tra stasera e domani parlerò con la società per valutare ed organizzare la prossima stagione. Sarà determinante capire come sviluppare tutto il lato organizzativo e gestionale di una Serie B ma penso che ci siano tutte le condizioni per poter fare bene e in questa settimana faremo tutto quello che dobbiamo fare visto che il tempo stringe. Io non devo essere una priorità, non lo sono mai stato e non lo voglio essere nemmeno in questo momento. Dobbiamo prima avere la certezza d iscrivere la squadra e costruire un gruppo competitivo, approcciandoci alla nuova esperienza come abbiamo fatto quest’anno in CGold”.

Infine, le chiedo quanto sarebbe importante mantenere uno zoccolo duro della squadra, soprattutto per quel discorso identitario di cui mi ha parlato prima?
“Sarebbe molto importante da un lato, anche se dall’altro io non penso si debbano tenere dei giocatori solo per ringraziarli della stagione fatta. Bisogna tenerli perché si crede ancora in loro e si pensa che possano essere un valore aggiunto in tutti i sensi, che sia quello tattico, tecnico, mentale o emotivo. Non bisogna ragionare sul legame creatosi e basta, perché si finirebbe per fare una scelta sbagliata sia dal punto di vista societario che del giocatore stesso. Se io dovessi ragionare emotivamente terrei tutti i miei giocatori di quest’anno senza pensarci un minuto, per quanto gli sia grato e riconoscente e per come abbiamo lavorato bene durante l’annata, ma sarei uno stupido e farei un torto a loro stessi in primis se facessi una cosa non onesta e dettata solo dall’emozione”.

Alessandro Burin

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