La sua riconferma non è certo stata una sorpresa: i Mastini devono avere un capitano e Andrea Vanetti lo è in tutto e per tutto. Il classe ’90 si appresta così a vivere la quinta stagione consecutiva in giallonero, un’annata che sa di anno zero, di riscatto e di rivincita per un gruppo che nell’ultimo biennio ha letteralmente attraversato l’inferno.

Sarà Vanetti il capitano dell’HCMV Varese Hockey in occasione della prima partita stagionale di IHL (amichevoli, se ci saranno, a parte) al PalAlbani, sarà Vanetti a guidare sul ghiaccio la squadra di coach Devèze per il prossimo anno e sarà Vanetti uno dei capisaldi della rinascita dei Mastini. “La mia permanenza a Varese non è mai stata in discussione – ci confida l’attaccante giallonero – e la firma è stata solo un atto formale. Dopo aver vissuto due anni del genere sarebbe stato stupido mollare proprio ora che arriva al bello: la voglia di tornare al PalAlbani e di giocare davanti al nostro pubblico mi dà già adesso un’adrenalina unica e non vedo l’ora di poter iniziare”.

Cosa puoi dirmi sulla nuova società?
“La nascita dell’HCMV era nell’aria già da tempo e non sono rimasto sorpreso quando è stata ufficializzata,  anzi, ne sono entusiasta per i protagonisti che ne fanno parte. Carlo Bino è una persona che stimo davvero molto, ci ho avuto a che fare già in passato e con lui si può instaurare un dialogo costruttivo sotto tutti i punti di vista; sono certo che per lui sarà una bella sfida guidare i Mastini nei prossimi anni. Con Matteo Malfatti, invece, il già ottimo rapporto personale si è intensificato nel momento in cui nella scorsa stagione è subentrato come allenatore; fa parte del DNA dei Mastini. Non voglio poi dimenticarmi di Max (Massimo Airoldi, l’addetto stampa, ndr), con cui mi sono sempre confidato e, ovviamente, lui è stato uno dei primi con cui ho parlato delle prospettive, in termini sportivi e tecnici, della nuova società. Le idee e la voglia ci sono, ora spetterà a noi far sì che tutto venga fatto per il meglio”.

Una domanda che ti avranno già fatto in tanti: cosa significa per te giocare a Varese ed essere il capitano?
“Confermo, me l’hanno fatta in tanti (ride, ndr), ma la risposta è sempre la stessa. Varese è dove ho iniziato a vedere l’hockey da bambino: mi ricordo bene la sensazione che provavo quando andavo al Palazzetto a vedere i Mastini che giocavano in Serie A, in particolare proprio negli anni d’oro dei gialloneri, e sognavo di poter essere io un giorno al loro posto. Oggi ci sono e a volte faccio ancora fatica a metabolizzarlo, magari mi dimentico che là fuori c’è qualche bambino che mi guarda provando le stesse emozioni che provavo io anni fa. Essere un Mastino, giocare a Varese ed esserne il capitano è una sensazione magica, a maggior ragione perché lo faccio per la città in cui sono nato e cresciuto; non posso che esserne orgoglioso”.

Buona parte della tua carriera si è però sviluppata in Svizzera: cosa ti ha lasciato il giocare dall’altra parte della dogana?
“Dopo le giovanili mi sono spostato a Lugano dove ho fatto dall’Under13 all’under20 per poi vivere anche in altre realtà. Diciamo che in Italia ho imparato a pattinare, ma in Svizzera ho imparato a giocare confrontandomi con campioni assoluti, alcuni dei quali oggi sono in NHL. Ho inoltre avuto l’opportunità di conoscere allenatori di un certo livello che mi hanno insegnato molto e se sono il giocatore che sono oggi lo devo a quel periodo, una parte fondamentale della mia carriera”.

Il ritorno a Varese com’è avvenuto?
“In qualche modo era scritto che tornassi, ma il tutto è successo abbastanza casualmente. Dopo la parentesi svizzera sono andato per un triennio a Milano finché la società ha deciso di fare il salto in Alps. Ciò significava almeno due partite a settimana e allenamenti al mattino; per questioni lavorative e di studio, dato che mi sarei laureato a breve, non avrei potuto mantenere quei ritmi. Con i Mastini ho sempre tenuto ottimi rapporti e, parlando con Matteo Cesarini che all’epoca ne faceva parte, sono riuscito a tornare qui. Con me sono arrivati anche Dominic Perna ed Edoardo Raimondi, nonché coach Massimo Da Rin, e da lì è si sono poste le basi per la mia permanenza a Varese”.

Anni belli e anni meno positivi; in quest’ultimo caso può rientrare la passata stagione, almeno a livello statistico?
“Purtroppo devo rispondere di sì. In termini di fatica, soprattutto dal punto di vista logistico e mentale, è stata indubbiamente la peggior stagione. Non è certo una giustificazione perché anche i miei compagni hanno sofferto tantissimo e fatto innumerevoli sacrifici, ma è stata una stagione no. Coach Barrasso, inoltre, chiedeva un gioco troppo impegnativo, le linee erano cambiate e la stanchezza del fare avanti e indietro da Milano si è fatta sentire presto; tutto ciò si è sommato e ha influito sul mio rendimento”.

Alla luce di ciò, quali sono le aspettative per quest’anno?
“Di sicuro saremo chiamati a competere ad un livello più alto rispetto a quanto fatto la scorsa stagione: adesso abbiamo una nostra casa e, in questo mondo, anche le piccole cose hanno un’influenza gigantesca. Passami il termine, ma ora non abbiamo più scuse e le aspettative non possono che essere alte; da adesso si fa sul serio”.

A livello di mercato che idea ti sei fatto sul prossimo campionato?
“Sto seguendo qualcosina, ma non è la mia preoccupazione principale: l’anno prossimo voglio vincere indipendentemente da chi affronteremo. Spero solo che la società, come sta facendo, riesca a mettere su un bel roster e poi toccherà solo a noi scendere sul ghiaccio e vincere. Al momento ci sono state conferme importanti e l’augurio è che si prosegua su questa linea: il ritorno di Francis (Drolet, ndr) e ancor di più quello di coach Devèze ci porteranno a fare uno step in più”.

Al momento del rinnovo hai parlato di “finale di stagione da film”; cosa intendi?
“Sapevo che me lo avresti chiesto (ride, ndr). In una delle mie prime interviste con Max al mio ritorno a Varese avevo parlato di un cerchio da chiudere nella mia carriera, legandomi anche al discorso precedente su quando andavo da piccolo a vedere le partite. Per cui lo ribadisco: il mio finale da film è tornare al PalAlbani, riempirlo come ai tempi d’oro e chiudere la stagione con la “C” sulla maglia”.

Matteo Carraro

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