Prima sono i padri a portare, talvolta a trascinare, i figli al palazzetto. Poi, nel meraviglioso fluire della vita, un giorno ti accorgi che la “ruota” inizia a girare al contrario e finisce che ritrovi a Masnago perché adesso su quelle tavole di legno si dipana la vita dei figli. Esempi? Quanti ne volete. A centinaia a tutti i livelli, ma citerò solo il più famoso: Meneghin Dino e Andrea. Quest’ultimo, visto coi miei occhi, a 4-5 anni zampettava nel tunnel degli spogliatoi dietro a cotanto padre il quale, una ventina d’anni dopo, a ruoli invertiti ripeteva gli stessi comportamenti.
Così, negli ultimi tempi, è stato bello rivedere al palazzetto Enrico Minazzi, giornalista ex-Gazzetta, che per quelli della mia generazione tifosi di Varese rappresenta una sorta di “must”. Minazzi, infatti, che oggi frequenta Masnago seguendo il figlio Davide, ottimo addetto stampa della Pallacanestro Varese, era il corrispondente da Varese per “Giganti del Basket”, mitica testata oggi purtroppo defunta. La penna, virtuosissima, di Enrico ci raccontava le storie dei personaggi varesini rispetto ai quali -oggi sembra impossibile da credere-, noi conoscevamo poco o nulla. Mensilmente, copia di “Giganti” fra le mani, andavi subito a cercare nel sommario e, un attimo dopo, eri sulla pagina che raccontava, con tanto di foto, ugualmente preziose e rare, le vicende degli eroi di casa nostra cui, molto spesso, toccava anche l’onore ed il privilegio della copertina. Ma, mica solo quelle di storie perchè Minazzi, se non vado errato, è stato l’unico giornalista italiano ad aver intervistato Wilt “The Stilt” Chamberlain o Julius “Dr. J” Erving. Come se oggi dovessi fare due chiacchiere come LeBron James e Kevin Garnett.
Insomma, Minazzi, termine abusato ma adeguato, è un “mito” assoluto e inscalfibile.
“Avevamo il dovere, ma anche il piacere, addirittura il gusto di raccontare storie che riguardavano i personaggi-giocatori. Volevamo, dovevamo -dice Enrico Minazzi-, andare a fondo, scavargli dentro, tratteggiare la personalità, descriverne il carattere, le piccole manie, le curiosità. Normale, allora, che fosse così. Difficile spiegarlo e farlo capire oggi quando hai a disposizione un mezzo potente come internet che si correda pure dei social-network. Difficile spiegare che allora esisteva un termine -‘discrezione’-, del quale oggi non si conosce nemmeno il significato. Oggi i giocatori, quasi tutti, tramite Twitter, Facebook, con le chat e altre tecnologie sono i primi a rendere pubblico ciò che fanno, ciò che pensano, come si muovono. E lo fanno praticamente in diretta. Una realtà per noi inimmaginabile. Quello che oggi è tremendamente vero, allora lo potevi leggere, forse, solo nei romanzi di fantascienza di Asimov. Non voglio dire se sia cosa migliore o peggiore. Dico solo che tutto è incredibilmente diverso e comunque per chi fa il mio mestiere oggi è tutto più facile”.
Un giornalismo da tempi eroici
“Tirare in ballo l’eroismo appare un tantino esagerato, ma le nuove tecnologie, ben vengano e siano lodate, da un lato stanno agevolando e migliorando notevolmente la professione, ma dall’altro le hanno certamente tolto il ‘pathos’ e quel briciolo d’avventura. Devi pensare che per trasmettere, da Mosca, il ‘pezzo’ Armata Rossa-Varese dovevi prenotare quindici giorni prima la linea telefonica internazionale indicando con precisione data e ora in cui sarebbe avvenuto il collegamento. Senza quello, eri nei guai, l’articolo saltava ed il direttore ti saltava in testa. Ricordo quando, eravamo più o meno a metà degli anni ’80, con le tessere dell’Italcable, che ti permettevano di parlare dall’estero (ma non da tutti i paesi…) senza più dover prenotare il servizio. Quello, mi sembrava già un sogno, un primo, indicibile, salto in avanti. Nulla che si possa neppure lontanamente paragonare ad un presente in cui, grazie ai cellulari o addirittura ai satellitari, puoi parlare in diretta dal K2. Pazzesco, se ci penso. Però, le tecnologie, favolose ma fredde per definizione, non riusciranno mai a sostituire la bellezza di poter raccontare gli avvenimenti e, soprattutto, il fattore umano che li circonda”.
Fattore umano: avrai montagne di aneddoti
“Migliaia. Raccolti e scritti in quarant’anni di carriera. Te ne voglio raccontare uno, a mio parere tenerissimo, che vale per tutti e riguarda Dino Meneghin. E’un ricordo che si rifà ad un episodio molto famoso, ancora oggi oggetto di discussione e ricordi. Anno 1984. Finale di playoff tra Simac Milano e Granarolo Bologna. In gara-2 a Bologna Meneghin viene ‘pescato’ in un quinto fallo molto dubbio. Se ne va furente in panchina e la coppia di arbitri, Vitolo e Duranti, anziché lasciarlo sbollire in pace, lo seguono in panca e soprattutto Vitolo ha nei confronti del Menego un atteggiamento provocatorio. Dino esplode in tutta la sua rabbia e si becca tre giornate di squalifica, saltando la decisiva gara-3. Il giorno prima della partita il caporedattore mi affida un’intervista proprio con Dino. Assisto all’allenamento dei milanesi nella palestrina secondaria del PalaLido e Meneghin lavora animato da un furore agonistico incontenibile per chiunque. Alla fine della seduta Dino si mette a mia disposizione, ma la sua voglia di commentare l’accaduto e di presentare gara-3 è, come comprensibile, sotto i piedi. La sua frustrazione è grande, il senso di colpa per aver lasciato la squadra senza il suo contributo è palpabile, quasi vivo. Meneghin abbozza si e no una decina di parole, ma negli occhi, nei suoi comportamenti non verbali, nella sua voce posso vedere un uomo contrito, moralmente distrutto dagli eventi, sinceramente dispiaciuto. Ma intorno a quella dozzina di parole, intorno a quelle due-tre frasi smozzicate, riesco a costruire un articolo che mette a nudo lo stato d’animo di SuperDino, ne isola la figura di giocatore esaltando il suo enorme spessore umano. Insomma: un ritratto di un uomo in difficoltà. Un ‘disegno’ che venne molto apprezzato e personalmente considero uno dei migliori cinque che io abbia mai scritto”.
Bellissimo, posso solo immaginare gli altri
“Guarda, un altro, davvero struggente, mi è capitato solo pochi giorni fa in occasione del quarantennale della tragica morte di Renzo Pasolini e Jarno Saarinen, due famosi motociclisti (Minazzi, per circa vent’anni, è stata la ‘prima firma’ per gli sport motoristici per la rosea ndr) periti in gara sul circuito di Monza. Abbiamo passato un paio di giorni avvolti da una bolla in cui c’è stato dentro tutto: l’affetto rivolto alla famiglia di Renzo e Jarno, la gioia di rievocare un motociclismo ruspante, il dolore per la scomparsa di due grandi amici e molto, molto altro. Con una commozione generale difficile da descrivere”.
Torniamo alla pallacanestro. Cimberio: cosa ti piace?
“Praticamente tutto: la squadra che gioca bene, è divertente, spettacolare ed efficace al punto giusto. Lo staff tecnico che è composto da persone eccellenti e, infine, l’intera macchina societaria guidata da due mostri sacri come Cecco & Max. Queste tre componenti, che hanno stabilito col pubblico un rapporto di grande empatia hanno prodotto una stagione di risultati favolosi che, è bene ripeterlo, non sono mai figli del caso”.
Massimo Turconi